sabato 27 settembre 2014

Il pane di farro dell' antica Roma...una ricetta ricostruita

La storia del pane è antica quasi quanto la storia dell'uomo. Di questo alimento, da millenni al centro della cultura gastronimica mediterranea  ed europea, si fa menzione già nella produzione letteraria sumerica,  nell'Epopea di Gilgamesh, testo epico composto fra il 2600 e il 2500 a.C., la più antica di cui si conservi notizia, il nucleo originario precede di oltre 1500 anni i poemi omerici e l'Antico Testamento.
Al di là delle sue implicazioni simboliche, la presenza del pane nell'Epopea di Gilgamesh dimostra come questo alimento fosse conosciuto e diffuso nell'antica civiltà mesopotamica, così come lo fu nell'Antico Egitto da cui si diffuse in tutto l'ambito del Mediterraneo diventando un elemento comune a tutte le popolazioni.

I Romani conobbero il pane dopo il 168 a.C., anno in cui impararono le tecniche della panificazione da alcuni schiavi macedoni. Plinio ci racconta che prima i latini erano soliti consumare focacce non lievitate e polta, una densa zuppa preparata con grani di cereali schiacciati e bolliti nell'acqua. Numerose sono le testimonianze archeologiche e artistiche che raccontano la presenza del pane nella società della Roma antica: dall'affresco della Casa del fornaio e dalle forme di pane fossilizzate di Pompei al sepolcro di Marco Virgilio Eurisace a Porta Maggiore a Roma, fino ai rilievi e ai mosaici che illustranio il lavoro quotidiano del fornaio. In molti casi le forme di pane raffigurate corrispondono alla tipologia del pane "quadratus": una pagnotta divisa in otto spicchi da quattro tagli. Questo stesso tipo di pane compare anche in contesti paleocristiani dove i tagli sono due o tre, per ottenere pagnotte segnate con l'immagine della croce o il simbolo semplificato od occultato del monogramma di Cristo. Il nome quadratus deriva dall'incisione a croce che favoriva la divisione in quattro parti,  quadrae.
 
Il panificio Casa del fornaio a Pompei  I secolo d.C.
 Come dicevo, il pane è uno degli alimenti più documentati dalle fonti storiche sia attraverso gli affreschi che i bassorilievi ed è attraverso queste raffigurazioni che ne conosciamo le fasi di preparazione e la vendita. A Roma, presso Porta Maggiore sorge il sepolcro del liberto Marco Virgilio Eurisace, un fornaio che aveva fatto fortuna grazie al collegium pistorum, la corporazione dei panettieri, stipulò contratti per la fornitura del pane alle autorità. Sul sepolcro sono presenti bassorilievi rappresentatnti le fasi della panificazione partendo dalla macinatura dei chicchi , assicurata dalle grandi lastre di pietra mosse dal lavoro di un asino, per proseguire con la setacciatura della farina, con l'impasto fino alla formatura e cottura al forno del pane.

Rilievo dal sepolcro del fornaio Marco Virgilio Eurisace 30 a.C. circa
Molti erano i tipi di pane prodotti a seconda degli usi, degli impasti e dei metodi di cottura. Il Panis siligineus era fatto con farina di qualità superiore; in funzione del grado di setacciatura della farina si producevano il pane cibarius, secundarius, plebeius, rusticus; tra i pani che dovevano conservarsi a lungo, una specie di gallette, c'erano il panis militaris castrensis per i soldati ,e il panis nauticus per i marinai. E poi quelli in uso nelle zone rurali che includevano leguminose, ghiande, castagne o i più elaborati a base di spezie, latte, uova, miele, olio. In base ai metodi di cottura si aveva il panis furnaceus, cotto al forno,o  il subcinerinus, cotto sotto la cenere o il clibanicus, una focaccia cotta sulla parete esterna di un vaso arroventato.
 
Il farro era il cereale più apprezzato e fu il primo ad essere usato: i chicchi venivano leggermente abbrustoliti per per eliminare la pula e poi macinati per ottenere la farrina, termine che poi fu esteso ad indicare ogni tipo di cereale macinato, "la farina". 


Le dosi utilizzate per questo pane sono tratte da: p&p, panificazione e pasticceria Una ricetta "ricostruita" a partire da quelle utilizzate nell'antica Roma. 
Ne è risultato un pane con una leggera nota dolce dovuta al miele, per questo è adatto  per la prima colazione e si abbina molto bene ai formaggi. In particolare usando il miele di acacia è ottimo con i formaggi erborinati o i pecorini, con il miele di castagno è perfetto con caciotte di media stagionatura. 

Ingredienti
250 g di farina di farro
250 g di farina integrale
250 g di lievito madre
50   g di miele
5     g di sale
275 g di acqua 


Procedimento
Io ho utilizzato la farina di Farro Filosini  di Ville di Fano Montereale, prodotto nel Parco Nazionale del Gran Sasso e la farina di Solina, un particolare tipo di grano tenero coltivato in alcuni comuni montani della provincia de L'Aquila, localizzati all'interno del territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso.
Mettere nella planetaria le farine, il miele, il lievito madre e  200 g di acqua, avviare la macchina  ed impastare. Aggiungere lentamente l'acqua rimanente controllando la consistenza dell'impasto e infine il sale e continuare a lavorare  fino ad ottenere un impasto liscio e ben incordato.
Formare una palla e trasferire l'impasto  in una ciotola ben unta, coprire con la pellicola, e far lievitare fino al raddoppio. Riprendere l'impasto e rovesciarlo sulla spianatoia spolverata di farina,  arrotolare delicatamente fino a formare una pagnottina, appiattirla  con un matterello, spolverare di farina, incidere e, dopo averla coperta, mettere a lievitare fino al raddoppio su una teglia ricoperta di carta forno.  Cuocere  in forno statico a 250°C mettendo un pentolino con acqua sul fondo del forno. Dopo circa 15 minuti portare la temperatura a 210°C e continuare la cottura per altri 25-30 minuti circa, fino a quando è ben dorato. Spegnere il forno e  lasciare freddare con lo sportello in fessura inserendo una cucchiaia di legno.

Con questa ricetta partecipo al contest "I Magnifici6; il contest dell'anno!", categoria Pane, organizzato dall'AIFB, Associazione Italiana Food Blogger
 
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Bibliografia
Lorenzo Bonoldi Artedossier
Letizia Staccioli Archeoclub d'Italia

domenica 21 settembre 2014

Tour attraverso le Dop del modenese: A Castelvetro l'aceto balsamico tradizionale di Modena

E' un viaggio nella tradizione che si perpetua attraverso i secoli quello  promosso dall'acetaia La Vecchia Dispensa di Castelvetro di Modena per noi soci dell'AIFB. In un assolato week end di settembre abbiamo calpestato terreni argillosi su cui  uno splendido vitigno, il grasparossa , cresce e ci offre i suoi frutti dall'intenso colore rosso che si trasformeranno in Lambrusco. Abbiamo attraversato ambienti in cui in apparenza riposano mosti da cui si otterrà l'aceto balsamico tradizionale di Modena. Abbiamo visto trasformarsi il latte in una imponente forma di parmigiano attraverso  gesti che racchiudono una tradizione che neanche l'evoluzione della tecnologia  ha potuto modificare. Ma cominciamo dall'inizio perchè ogni momento di questo tour merita di essere raccontato perchè rivela l'amore, la passione, il lavoro di persone consapevoli dell'importanza del rispetto e della  difesa della tradizione. 

  A Castelvetro, nella piazza della Dama , si affaccia La Vecchia Dispensa....


 In questo viaggio affascinante ci ha accompagnato  Simone Tintori, appartenenete ad una famiglia che da quattro generazioni "ottiene" balsamico. Il  nonno amplia l'acetaia di famiglia  trasformando una  passione in lavoro, e  lui, dopo una laurea in architettura, (siamo colleghi ! ), decide di dedicarvisi completamente. E' lui che ci ha condotto in questo magico e  misterioso mondo antico fatto di segreti che si trasmettono oralmente di generazione in generazione. Insieme a Simone siamo entrate nella Torre delle Prigioni, che si erge dal XV secolo nella Piazza della Dama, che prima custodiva la vita di qualche derelitto e che ora custodisce l'acetaia più preziosa della sua famiglia, i  barili con l'aceto  balsamico dalle antiche origini.
Salendo la ripida scala di quercia e poi l'angusta scala elicoidale in pietra, seguendo il nostro pifferaio magico, abbiamo percepito il profumo che,  allo spalancarsi di una pesante porta in legno, ci ha pervaso in tutta la sua intensità. Siamo entrate nella cella  col soffitto a volta, dove i muri graffiti dai forzati ospiti sono memoria  eterna dell'antica destinazione.


Nel piano più alto della torre le botti trovano la loro collocazione ideale,  l'assenza di umidità, le alte temperature estive e il rigore invernale costituiscono il necessario microclima per la perfetta maturazione dell'aceto. 


Qui ci aspettavano Cunegonda, Zoraide, Guendalina, Isabella, Clementina, Anna, persone di famiglia, non solo batterie perchè, ci narra Simone, si tramanda l'antica tradizione in cui alla nascita di una bambina si crea una batteria di 5, 6 barili di dimensioni e legni differenti. Ogni batteria appartiene ad un componente della famiglia, ma attenzione solo alle bambine! Il padre è il responsabile della creazione, cura e invecchiamento della preziosa dote che donerà alla figlia nel momento del matrimonio. Quando si assaggia una goccia di aceto balsamico si trovano non solo profumi ma anche la storia delle donne le cui foto ornano le pareti di questo ambiente, ricordi intimi, di famiglia,  per questo, ci dice Simone, non c'è niente di più umano e di personale di un vero aceto balsamico. Poi preleva un po' di aceto di Clementina,  ci spiega che per poter apprezzare le caratteristiche di un vero  balsamico si comincia  dal colore che deve essere rosso rubino,  ruota lentamente la pipa in vetro che lo contiene, la mostra in controluce così da notare le sfumature ambrate e la densità scorrevole e sciropposa. Poi ne versa qualche goccia nel cucchiaino in porcellana e si sprigiona il profumo complesso, penetrante, di gradevole ed armonica acidità; infine l'assaggio e gustiamo il sapore dolce ed agro ben equilibrato, pieno, sapido con sfumature vellutate.



Ma come si ottiene l'aceto balsamico tradizionale?
Il termine balsamico  comparve   nel 1747  nel registro della vendemmia e vendita  dell'archivio della corte estense e il nome probabilmente nasceva dall'uso terapeutico che allora se ne faceva.
 
…alquanto poco aceto modenese, dalla sperimentata efficacia rinfrescante e balsamica, riuscì in breve lasso di tempo a ridare un po’ di salute e tranquillità…” così scriveva Gioacchino Rossini in una lettera all’amico Angelo Castellani.

Il mosto cotto a primavera viene messo nella "badessa" o botte madre, con l'aceto dell'anno precedente perchè avvenga la  fermentazione. Dopo inizia la fase della maturazione, di fondamentale importanza per la formazione degli aromi caratteristici, con i travasi annuali in cui ogni botticella della batteria viene riportata a livello con l'aceto della  precedente fino ad arrivare alla botte più grande che verrà rincalzata con il mosto cotto dell'anno prima. Le botticelle sono di legni differenti, gelso, frassino, ciliegio,  noce, castagno rovere, perchè ogni essenza contribuisca a conferire aromi, profumi, colore.
Per i restanti mesi il balsamico avrà bisogno di riposo e di discrete ispezioni e della sensibilità ed esperienza della persona incaricata che  condurrà il "balsamico verso la sua età felice, quella del miracoloso equilibrio che solo l'alchimia del tempo e la mano esperta dell'uomo sanno concedergli". Per l'invecchiamento ci vorranno svariati anni, almeno12 per maturare le cartteristiche dell'aceto balsamico tradizionale affinato e almeno 25 per diventare extravecchio. Solo dopo il severo esame  organolettico verrà imbottigliato nella bottiglia disegnata da Giorgietto Giugiaro, una compenetrazione di volumi puri, cilindro sfera, parallelepipedo.


L'aceto balsamico tradizionale DOP è ottenuto da solo mosto cotto  di uve raccolte nella provincia di Modena. L’aceto balsamico di Modena IGP è prodotto con almeno il 20% di mosto cotto a cui si può aggiungere  anche aceto di vino,  mosto concentrato e caramello ottenendo prodotti di qualità estremamente diversa, anche scadente, la  scelta de LaVecchia Dispensa è di produrre aceto balsamico di qualità, fatto con 80% di mosto e 20% di aceto di vino italiano selezionato.
Che l'origine dell'aceto balsamico tradizionale possa collocarsi in una precisa ricerca o in  un processo di felice casualità che, nell'ambito della scienza si definisce serendipità, poco importa, la capacità dell'uomo di affinarlo  e migliorarlo ha permesso di ottenere un prodotto dalle straordinarie caratteristiche in grado di nobilitare ogni piatto!

Anche così si può gustare, come ci è stato offerto dalla squisita ospitalità della  mamma di Simone
 Mojito all'aceto
ricetta della Vecchia Dispensa

Ingredienti
5/10 Rum
5/10 di acqua tonica
20 ml di fragole frullate
10 ml di Aceto Balsamico di Modena IGP
2 cucchiaini di zucchero di canna
foglie di menta
ghiaccio tritato

Procedimento
  Preparare il mojito direttamente nel bicchiere, un tumbler alto.
  Mettere il succo di fragola frullata.
Aggiungere due cucchiaini di zucchero di canna, l’Aceto Balsamico e alcune foglie di menta fresca.
 Pestare bene il tutto.
Riempire il bicchiere fino all’orlo con ghiaccio tritato.
Riempire lo spazio rimanente con il rum e acqua tonica.
Mescolare bene e servire.
Presentazione
Decorare a piacere con una fragola tagliata a metà sul bordo del bicchiere.




Il viaggio continua!

mercoledì 17 settembre 2014

Taste of Rome




Nei giardini pensili dell’Auditorium Parco della Musica di Roma sta per iniziare Taste of Roma 2014. 
Dal 18 al 21 settembre Roma ospiterà  la terza edizione della rassegna enogastronomica più importante della capitale. Quest’anno, per la prima volta, la manifestazione sarà anche all’insegna della “sostenibilità”. 
Protagonisti dodici chef, tra i più famosi del panorama della ristorazione romana, che presenteranno 36 piatti creati appositamente per il pubblico del Taste of Roma: Giulio Terrinoni, , Riccardo Di Giacinto, Danilo Ciavattini,   Andrea Fusco , Cristina Bowerman, Angelo Troiani, Anthony Genovese, Francesco Apreda, Heinz Beck,  Fabio Ciervo, Roy Caceres, Daniele Usai.




A Taste of Roma  i piatti si acquisteranno in Sesterzi. Con 4, 5 o 6 di queste antiche monete precaricate sulla card ricaricabile, si potranno degustare i grandi piatti proposti nel menù.
 Nelle quattro giornate della manifestazione ci saranno gli assaggi degli chef, The Lab con le lezioni di cucina, pasticceria e panificazione per mettere le mani in pasta con la guida di maestri d'eccezione, il Blind Taste per stimolare la fantasia e riconoscere i sapori al buio, l’area Kids dedicata ai bambini con libri, giochi e laboratori e, la grande novità di Taste of Roma 2014:  un Wine Caveau di etichette introvabili accessibile a tutti.


 Chiacchierare con i propri amici, conoscerne di nuovi, sorseggiando un bicchiere di vino leggendario, unico…. che solo poche volte capita di “incontrare” nella vita.
Sarà questa la filosofia del Wine Caveau di Taste of Roma: un modo particolare di parlare e, soprattutto, di bere vino, senza perdersi nelle sfumature fruttate o su quanto si avverta il tannino. Si parte da presupposti inattaccabili: è indimenticabile assaggiare un'etichetta unica, ancora meglio se si ha qualcun’ altro con cui condividere l'entusiasmo e l'introspezione gustativa.

Il Wine Caveau di Taste of Roma
100 vini top, mitici, leggendari proposti non per essere acquistati e conservati in una cantina a prendere polvere in attesa di diventare marsala, ma venduti, stappati, bevuti (e goduti) al bicchiere in compagnia di amici o di chi condivide questa passione.

Vini diversi, ma accomunati dal fatto di essere unici e, il più delle volte, introvabili.
Sarà una sola, però, la chiave per aprire queste “rarità enologiche”: la condivisione.
Ogni etichetta, infatti, verrà proposta con relativo prezzo al bicchiere e non appena sarà raggiunto il numero minimo di persone a copertura del costo di acquisto, lo stappo e l’esperienza diventerà reale per i fortunati partecipanti. Per sapere come funziona: http://www.winecaveau.it/ 
I vini top
I grandi vini portano con sé lunghe storie che partono dai propri produttori e raccontano incontri e scontri tra popoli, stili di vita e condizioni climatiche delle genti e delle zone di provenienza.

Le 100 prestigiose bottiglie sono infatti state selezionate accedendo alle grandi cantine dei ristoranti partecipanti ai Taste Festivals di Milano e Roma; alle riserve delle migliori cantine nazionali e delle collezioni private come quelle dell’enoteca romana Trimani, delle cantine Antinori  e dai caveau Krug, Ruinart e Veuve Cliquot. 

Taste of Rome
18-21 settembre, 2014
Auditorium Parco della Musica
Via Pietro de Coubertin, 30
Roma