lunedì 30 ottobre 2023

MINESTRA COL PANE SOTTO (MINESTRA CO’ LO PANE SOTTO)



MINESTRA COL PANE SOTTO (MINESTRA CO’ LO PANE SOTTO)

La minestra con il pane sotto, conosciuta anche come la minestra revotata in dialetto, è una zuppa tipica della Ciociaria legata alla tradizione contadina. È un piatto povero, di recupero fatto con pane raffermo, verdure e legumi che avevano a disposizione: verze, bietole, cavoli, spinaci o cicorie di campo, le verdure; fave, ceci, fagioli o lenticchie o un misto, i legumi. La ricetta originale del Pane Sotto ciociaro prevederebbe anche l’uso delle cotiche cotte insieme ai legumi, a voi la scelta.

Ingredienti per 4 persone

8/10 fette di pane casereccio raffermo

300 gr. bietola

300 gr. cicoria

400 gr. fagioli

1 carota

1 costa di sedano

mezza cipolla

1 spicchio d’aglio

1 peperoncino

1 pomodoro

olio extra vergine di oliva

sale

100 gr di pecorino grattugiato

(cotiche)

Procedimento

Mettete i fagioli in ammollo per 12 ore.  Scolate i fagioli ammollati e metteteli in una pentola, unite aglio e sedano , copriteli con l’acqua e fateli cuocere dolcemente su fiamma medio-bassa.

Intanto in un tegame largo preparate un fondo con olio, cipolla, aglio e peperoncino; fate appassire, unite le verdure e salate, mescolate e aggiungete i fagioli scolati, il trito di sedano e carota e il pomodoro, coprite il tutto con l’acqua e fate cuocere su fiamma medio-bassa per almeno un’ora mettendo una cucchiaia tra pentola e coperchio. A fine cottura aggiustate di sale.

In una casseruola di coccio fate uno strato di fette di pane, coprite con la minestra e cospargete con il pecorino. Spolverizzate la superficie con il pecorino, fate riposare per almeno mezz’ora e poi servite.

 

martedì 10 ottobre 2023

NINÙ A ROMA: HOME RESTAURANT E GALLERIA D’ARTE

Ninù a via della Frezza 43, nel cuore di Roma: Alessandra Marino ha trasformato la sua casa in ristorante, cocktail bar, caffetteria, con stanze per un piacevole soggiorno.

Ci sono luoghi permeati di bellezza, spazi che si trasformano mantenendo  armonie antiche. Oasi di silenzio e benessere nel cuore della città, dove rifugiarsi dallo stress quotidiano. Molte sono le forme di Ninù, il nuovo home restaurant. Ti lasci alle spalle il traffico pedonale della zona del Tridente, sei  in Via della Frezza, situata nel Rione Campo Marzio, tra Via del Corso e Via di Ripetta, una delle zone più antiche di Roma che, fin dall’antichità, fu consacrata al dio Marte e adibita alle esercitazioni militari.

Un'area il cui assetto urbanistico risale al XVI Secolo e il cui nome deriverebbe dalla famiglia Frezza.  Una strada, via della Frezza, che ha visto una nuova veste grazie al progetto Fòndaco, ideato e realizzato da Alessandra Marino: nuova pavimentazione, larghi marciapiedi, arredi urbani, panchine tra vasi di allori, glicini e giovani platani. Alessandra Marino, architetto, interior designer, collezionista, imprenditrice, al numero 43 di questa via, ha aperto le porte della propria casa e ha creato un home restaurant unico, Ninù. Un nome che riporta all’infanzia, un nome che è un omaggio al poliedrico zio siciliano che si  cimentava in cus cus dalla lunghissima preparazione e cacciagione con il cioccolato, banchetti rinascimentali.

Ninù, la casa romana a due piani, dove Alessandra ha vissuto per lungo tempo ora trova una nuova forma d’uso grazie a un progetto che unisce un ristorante dalle pareti ricoperte da libri, cocktail bar, caffetteria, sala da tè, una cucina destinata a show cooking e tre camere.

Con “Benvenuti a casa”, noi accogliamo i nostri ospiti e questi  850 metri quadrati su due livelli, una casa lo sono stati. Una casa deve essere prima di ogni altra cosa accogliente, confortevole, regalare sensazioni di benessere e Ninù è tutto questo, con il susseguirsi di stanze con libri, quadri, divani e sedute dove fermarsi a sfogliare un libro o a sorbire un te o fermarsi per un pasto . 

Cosa si mangia da Ninù

Dalle mani dell’executive chef Marco Gallotta e dello chef Simone Ianiro usciranno piatti dai sapori mediterranei, dove la proposta ittica prevale ma non è unica.

Chef per tradizione familiare e vocazione, Gallotta ha lavorato in diverse realtà capitoline di alto livello; propone una sua personale lettura e rilettura del passato all'insegna della creatività e dell'attenzione al territorio per quella che definisce una «sinfonia» della tradizione italiana, tra terra e mare.

Nel menu alla carta di Ninù, tante le portate di pesce, i carpacci, i ceviche, i sautè, le tartare, gli spaghettoni  con vongole veraci, il Tortello ripieno di tre pomodori con salicornia gamberi e bisque, il cannellone di baccala’, gli gnocchi di ricotta di bufala con gamberi, Minestra di mare e legumi. 
 
Spigola al sale e fieno, Catalana di mazzancolle, Tataki di tonno con insalata di arance e finocchi fermentati. 
 
Non mancherà la tradizione da Ninù con le Fettuccine al ragù di manzo battuto a coltello, gli Spaghetti con pomodori basilico e Parmigiano 36 mesi, i Saltimbocca alla romana di vitella, il Filetto di manzo alla griglia, la Parmigiana estiva, le insalate, le verdure ripassate e e patate saltate con alghe e sale. Tra i dolci, Delizia al limone, Sorbetti, Savarin arancia e fragoline di bosco, Mousse al cioccolato con cuore di mandarino.


Dalle undici alle diciotto, per chi deve mangiare in velocità oppure ha voglia di una merenda più sostanziosa, c’è il gustoso menu dedicato. Tra le tante proposte, Toast di pesce spada, Avocado toast, Cannellone di baccalà dorato e fritto, Insalata di salmone, di tonno o di crostacei.

Per l’aperitivo: Cocktail o calice di vino con tre assaggi della casa, Ostriche, Crostini o Frittura; Ninù è il signature cocktail della casa a base Aperol, succo di limone, salvia, ananas, Thè French Blu di MariageFrères.

Ninù: la Casa

Un grandissimo piano nobile in cui le stanze si susseguono passando dal cocktail bar alla caffetteria e poi alle sale del ristorante, l’una con il tavolo sociale di design, l’altra una library con i suoi 9000 volumi da terra a cielo, e poi la piccola serra e la cucina lab. 

 

Ci si può perdere ammirando gli arredi, illuminati dai grandi lucernai, le opere d’arte contemporanea, le foto, oggetti provenienti dai mercati del mondo scovati dalla padrona di casa o la grande libreria dove sicuramente, anche al primo sguardo, troverai un volume che ti attrae.

La grande cucina affaccia anche sulla strada, dove il dehors ti fa tornare alla mente la Parigi di Callebaut o Pisarro. C'è anche una cucina privata, con una grande isola di marmo centrale, per degustazioni ed eventi che può ospitare un  massimo di 12 persone.

Al piano superiore tre camere: Rosa e rosso sono i colori che connotano la prima, romantica, una finestra sui tetti di Roma e i mobili francesi dei primi del ‘900 accompagnati dalle poltrone di Paola Navone per Baxter, le lampade di design e le opere di Paolo Ventura alle pareti.

Luminosa, dirompente, piccola ma con carattere la seconda: il gigantesco Spiderman realizzato da Giorgio Lupattelli nel 2003 su mdf, maioliche bianche tutto intorno e un delizioso sofà retrò.

Infine la suite,  toni grigi che si moltiplicano su pareti e arredi e un piccolo studio con il divano di Albini&Helg e la scrivania d’epoca,sulla quale si staglia la gigantesca opera di Matteo Basilè “La Karl”.

Ninù è uno spazio dove le cose belle hanno una storia e sono in perfetta armonia con il tutto. Dove dimorano eleganza e originalità, ricerca, creatività e bellezza. 

Ninù

Via della Frezza 43

Tel. 06. 87644813

ninuroma.com

Dal lunedì alla domenica dalle ore 08.00 alle 01.00

giovedì 5 ottobre 2023

PARTITO IL PROGETTO “80 ANNI” GOTTO D’ORO, CONFERITE UVE PER I DUE VINI CELEBRATIVI


Comunicato stampa

Gotto d’oro produrrà due vini “edizione limitata”, un bianco ed un rosso, per festeggiare l’80esimo anniversario dalla fondazione nel 2025. Il progetto è ufficialmente sabato 30 settembre con il conferimento, da parte dei soci viticoltori muniti di apposite cassette griffate “80° anniversario”, delle uve specificamente selezionate per dare vita a due vini che rappresentino al meglio gli otto decenni di storia della cantina. Le operazioni sono avvenute alla presenza dei vertici aziendali e delle autorità civili del Comune di Marino.

Il conferimento è stato preceduto dalla conferenza stampa di presentazione del progetto, che si è tenuta nella splendida ed ospitale cornice del “Salotto del Vino”, presso la sede dell’azienda in via del Divino Amore n. 347 a Marino, gremita per l’occasione. L’evento ha registrato la partecipazione: del sindaco marinese Stefano Cecchi, accompagnato da una nutrita rappresentanza dell’amministrazione comunale; del presidente della Gotto d’oro, Luca del Gallo di Roccagiovine; del vicepresidente Umberto Grizi; della direttrice, la dottoressa Ilaria Palumbo e dell’enologo, il dottor Paolo Peira.

La partecipata iniziativa si è aperta con il commosso ricordo del compianto presidente ingegner Luigi Caporicci, scomparso prematuramente a maggio, dopo aver guidato l’azienda nell’arco dell’ultimo ventennio con grandi risultati sotto il profilo produttivo e commerciale.

Il presidente Luca del Gallo di Roccagiovine nel dare il benvenuto ai numerosi ospiti ha ribadito lo spirito che notoriamente muove l’azione della Gotto d’oro: “Ci siamo sempre messi in gioco con impegno, operosità e speranza, anche nei momenti più difficili. Questo è decisamente il nostro tratto distintivo che ci ha reso un punto di riferimento per il territorio dei Castelli Romani. Presentiamo questo nuovo progetto celebrativo a cui ne seguiranno altri perché, pur essendo anziana, la Gotto d’oro ha una testa giovane che non smette mai di creare!”.

La direttrice Ilaria Palumbo ha poi spiegato da dove nasce l’idea di creare due vini “edizione limitata” per gli 80 anni dell’azienda: “Ci siamo soffermati su questa intuizione con il presidente Luigi Caporicci mentre eravamo a Verona, in occasione di Vinitaly edizione 2023. Produrremo due vini dal target più alto rispetto alla media. Saranno due IGT, un bianco ed un rosso che usciranno in tandem attraverso due bottiglie dal formato di 750 ml con un packaging esclusivo per l’80esimo anniversario. Gotto d’oro commercializzerà il prodotto nel luglio 2025, in edizione limitata con 1.300 bottiglie. Queste ultime saranno numerate ed acquistabili esclusivamente presso il punto vendita in sede, online sul sito www.gottodoro.it e nella ristorazione. Tali caratteristiche renderanno i vini ancor più speciali e da collezione”.

L’enologo, dottor Paolo Peira, ha avuto l’arduo compito di descrivere i due vini senza ovviamente avere la possibilità di poterli far degustare: “Saranno due vini importanti, di straordinaria potenza e alcolicità. Il vino bianco fermenterà nel 2024 in legno, come il rosso dopo un’iniziale macerazione. Li toglieremo dal legno nel 2025, li esamineremo per poi imbottigliarli ed immetterli in vendita”.


Nel 2022, Gotto d'Oro deciso di aderire al “Progetto ETICO” di Amorim Cork Italia: ETICO è un nuovo modello di economia circolare per la raccolta e il riciclo di qualsiasi tappo in sughero. Promosso da Amorim Cork Italia in collaborazione con le Onlus presenti sul territorio italiano, il Progetto Etico nasce nel 2011.  Il riciclo diventa l’occasione per rispettare l’ambiente e al tempo stesso aiutare coloro che necessitano di un aiuto e sostegno: i proventi della vendita dei tappi di sughero, sono infatti interamente destinati alle Onlus e ai loro progetti.

 

UFFICIO STAMPA LPR Comunicazione   lprcomunicazione@gmail.com

"FINI FINI" CIOCIARI, UN ANTICO PIATTO DEL LAZIO MERIDIONALE





Fini Fini

Un altro prodotto tipico della Ciociaria sono i “Fini Fini”, o “maccaruni” , una pasta fresca la cui caratteristica risiede nel taglio molto sottile della sfoglia. Una delle ricette più antiche di tutto il Lazio meridionale, le prime tracce risalgono alla metà del ‘500. Per tradizione vengono condite con un sugo di regaglie di pollo (la ricetta del sugo la potete trovare QUI). Io le ho condite con un sugo di carne.

Ingredienti per 4 persone

per i Fini fini

200 g di farina 00

200 g di farina di semola

4 uova intere

per il sugo

1 carota piccola

1 cipollina

½ costa di sedano

1/2 bicchiere di vino

400 g di carne di manzo

500 g di pomodoro passato

olio extravergine di oliva

sale e pepe

100 g di pecorino di Picinisco

Fini fini

Con le farine fate la fontana, mettete al centro le uova, sbattetele con una forchetta e impastate, inizialmente incorporando con la forchetta la farina sui bordi e poi a mano fino ad ottenere una pasta liscia ed uniforme. Formate una palla e lasciatela riposare, coperta a campana, per almeno 30 minuti.



Sulla spianatoia di legno infarinata stendete , con il mattarello, una parte della pasta,fino ad ottenere una sfoglia sottile ed uniforme. Infarinate la sfoglia e arrotolatela su se stessa, fino a metà, ripetete la stessa operazione per l’altra meta e sovrapponete. Con un coltello affilato ricavate i fini fini tagliando fettine di circa 2 mm di larghezza.


Sugo

Tritate carota, cipolla e sedano e fate rosolare in una pentola larga e bassa in cui avrete versato l’olio. In una padella fate rosolare bene la carne tagliata a pezzi e poi unitela al trito, salate e pepate e poi sfumate con il vino; fate evaporare  e aggiungete la passata di pomodoro. Aggiustate di sale e fate cuocere a fiamma dolce per circa un’ora.

Cuocete i fini fini, la cottura è brevissima, appena tornano a galla e l’acqua sta riprendendo il bollore, scolateli e conditeli con il sugo. Cospargete di pecorino e servite subito.


martedì 3 ottobre 2023

CARCIOFO ALLA GIUDIA

Il carciofo alla giudia è un piatto della cucina ebraico romanesca, forse il più famoso, già largamente celebrato  e apprezzato nel 1500.

Un po' di storia
Tipico dell’area mediterranea, il Cynara Cardunculus, progenitore selvatico del carciofo, si differenziò dal cardo selvatico nel Pleistocene e fu domesticato in Sicilia 2000 anni fa.
Le  civiltà del bacino del Mediterraneo lo conoscevano: gli Arabi coltivavano al-karshuf  già nel IV sec. a. C; semi e brattee sono stati  rinvenuti in una colonia penale romana del III sec. a.C. in Egitto; i Greci  usavano la parola cynara per indicare le piante spinose. Teofrasto, filosofo e botanico greco vissuto tra IV e III sec. a.C., descrive le cardui pineae. Marco Terenzio Varrone parla per la prima volta delle tecniche di coltivazione nel De re rustica del 37 a.C.; Plinio affronta lo stesso argomento nella Naturalis Historia del I sec. d.C. Nel secolo successivo il medico greco Galeno la fa entrare ufficialmente nella medicina e nella farmacopea.

Nel XIV sec. il carciofo viene importato a Firenze da Filippo Strozzi Nello stesso periodo si diffonde anche in Inghilterra e poi, gradualmente, verso il nord Europa grazie alle tecniche di coltivazione e di moltiplicazione vegetativa elaborate  nel XVI secolo. Nel XVIII e XIX secolo conquista gli Stati Uniti e l’America del Sud grazie agli emigranti francesi e spagnoli.
I documenti storici  smentiscono, si narra però, che a farlo conoscere in Francia fu Caterina De’ Medici. La sovrana, golosa di carciofi, forse ne apprezzava anche le proprietà digestive, perchè mangiava così tanto che “si credeva di vederla scoppiare”, annota un cronista del tempo.

Il carciofo nell'arte
Definito nel 1500 “principe delle verdure d’inverno” e “diavoleria mangereccia”, appare sempre più spesso non solo nei manuali di cucina. Raffaello lo rappresenta negli affreschi di Villa Farnesina, Francesco del Tadda scolpisce  la Fontana del Carciofo nel Giardino di Boboli, Giuseppe Arcimboldo dipinge Vertumnus.   
 
La scultura Carciofi di Patrick Laroche viene esposta all’EXPO.

Il carciofo nella letteratura
Grazia Deledda lo descrive  ne Il tesoro degli zingari e Pablo Neruda gli dedica una poesia:
“Il carciofo dal tenero cuore si vestì
  da guerriero, …”

Il carciofo nei documenti
Compare anche in un documento del  24 aprile 1604, conservato nell’Archivio di Stato di Roma, una denuncia, perchè il carciofo era stato causa di una lite. Il denunciato, certo, non era proprio un tranquillo signore che reagiva solo se ripetutamente pungolato. Fatto sta che Pietro da Fusaccia, garzone all’Osteria del Moro, denuncia Michelangelo Merisi, sì proprio Caravaggio, perché” havendoli portato carciofi sì cotti, cioè quattro nel burro et quattro col’olio…mi ha domandato, quali erano quelli che erano cotti col burro, et quelli col’olio, e jo li risposto, che li odorasse che benissimo havrebbe conosciuto…, colui allora è montato in collera et… ha preso un piatto… e me l’ha tirato… mi ha colto in questa guancia manca…et ha dato mano alla spada di un suo compagno“ inseguendolo  per tutta l’osteria.

Le varietà del carciofo
In Italia ci sono molte varietà di carciofo; coltivato in pieno campo, è presente sul mercato da ottobre a maggio. 

I precoci sono il Brindisino, il Violetto di provenza, il Violetto di Sicilia, il Violetto, lo spinoso di Palermo  e lo Spinoso Sardo; i tardivi il Bianco di Pertosa , Presidio Slow Food, il Carciofo di Paestum IGP e il Romanesco del Lazio IGP.
Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP, prodotto nel periodo febbraio-aprile , “ha capolini di grandi dimensioni e di forma sferica, compatta, con caratteristico foro all’apice, brattee esterne di colore verde con sfumature violette ad apice arrotondato”.
Il carciofo fornisce un basso apporto calorico, è ricco di potassio, calcio, fosforo, ferro e di fibra alimentare, mentre ha scarso contenuto in vitamine.  Contiene componenti “non nutrienti” con  azioni protettive per la salute e l’attività antiossidante è elevata anche dopo la cottura.

La coltivazione del carciofo nel Lazio sembra risalga agli Etruschi come confermano le raffigurazioni di foglie di carciofo in alcune tombe della necropoli di Tarquinia.

La cucina ebraico romanesca
La comunità ebraica di Roma è la più antica d’Europa, la sua presenza risale al II secolo a.C.
Il 12 luglio 1555 Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum, ordinò l’istituzione del ghetto, in cui gli ebrei furono costretti a risiedere. 

Nel ghetto, gli ebrei romani vennero a contatto con gli esuli ebrei spagnoli espulsi da Isabella di Castiglia, quelli siciliani espulsi dagli Aragonesi, vissuti a contatto con le civiltà islamiche. Da questo incontro tra il gusto alimentare condizionato dall’ambiente di origine,  la cucina ebraica di una  comunità di antico stanziamento che non poteva rimanere insensibile alla cultura romana, nasce la cucina ebraico romanesca. Una cucina che  cercava di nobilitare gli alimenti a buon mercato reperibili e che doveva rispettare i ferrei limiti che il  governo pontificio aveva posto anche nella dieta alimentare degli ebrei , oltre all’insieme di norme, prescrizioni e divieti, la kasherut, che regola la cucina ebraica. Kasher significa adatto e indica quei cibi che si possono consumare perché conformi alle regole. Questo insieme di norme non ha penalizzato la cucina ebraica ricca di estro e fantasia, ha però guidato alcune scelte. Ad esempio, il divieto di cuocere carne insieme ai latticini, quindi anche al burro e alla panna ha portato ad utilizzare l’olio e il grasso  di oca o di gallina  per cucinare. Nella cucina ebraica romana si usa  quasi esclusivamente l’olio di oliva, sia per il condimento che per la cottura. I fritti in olio sono un vanto di questa cucina e i carciofi alla giudia uno dei piatti più apprezzati e conosciuti.
Crescenzo Del Monte, massimo esponente della poesia giudaico romanesca, con il linguaggio parlato nel ghetto alla fine dell’ Ottocento, ricorda  il carciofo alla giudia  nel sonetto

‘O ‘nvitato a pranzo
Magna, magna, Moscè, ‘un fa’ complimenti!
...
…Magna co ‘i mani, stamo fra parenti!…
…Vardeme sta carciofela, chi belli
fogli ‘nnorati assaja.
…ù
La Ricetta dei carciofi alla giudia
Per i carciofi alla giudia servono  i cimaroli romaneschi. Il carciofo fresco deve avere capolino sodo al tatto, senza macchie e con brattee, “foglie”, serrate; gambo duro, preferibilmente grande perché segno di vigore della pianta e quindi di tenerezza, senza parti gialle e con foglie  verdi.
Per la conservazione si può mettere in un vaso con l’acqua, come si fa con i fiori freschi, oppure in frigorifero.
La “capatura” è fondamentale. Si tolgono le foglie verdi e  dure fino alle prime foglie giallo-rosate alla base, poi “Pulite i carciofi facendoli ruotare lentamente con la mano sinistra, mentre sta ferma la mano destra che fa penetrare la lama di un piccolo coltello ben affilato nella polpa del carciofo. Così il taglio si effettua a spirale e di foglia in foglia viene ad essere eliminata la parte dura e conservata la parte tenera. 

Metteteli per qualche minuto  a bagno in acqua acidulata con parecchio limone. Scolateli, asciugateli e batteteli uno contro l’altro per allargare le foglie.”*, spiega  G. Ascoli Vitali-Norsa. Si  immergono in abbondante olio di oliva ben caldo, quando saranno quasi cotti, si tolgono, si allargano le foglie con l’aiuto di una forchetta fino ad aprirle completamente e si rimettono nell’olio bollente. Quando son ben dorati si estraggono infilzandoli con una forchetta, si spruzzano con acqua o vino bianco gelato e si cuociono per un minuto ancora. Sono pronti, dorati e croccanti, da servire caldi.