martedì 3 ottobre 2023

CARCIOFO ALLA GIUDIA

Il carciofo alla giudia è un piatto della cucina ebraico romanesca, forse il più famoso, già largamente celebrato  e apprezzato nel 1500.

Un po' di storia
Tipico dell’area mediterranea, il Cynara Cardunculus, progenitore selvatico del carciofo, si differenziò dal cardo selvatico nel Pleistocene e fu domesticato in Sicilia 2000 anni fa.
Le  civiltà del bacino del Mediterraneo lo conoscevano: gli Arabi coltivavano al-karshuf  già nel IV sec. a. C; semi e brattee sono stati  rinvenuti in una colonia penale romana del III sec. a.C. in Egitto; i Greci  usavano la parola cynara per indicare le piante spinose. Teofrasto, filosofo e botanico greco vissuto tra IV e III sec. a.C., descrive le cardui pineae. Marco Terenzio Varrone parla per la prima volta delle tecniche di coltivazione nel De re rustica del 37 a.C.; Plinio affronta lo stesso argomento nella Naturalis Historia del I sec. d.C. Nel secolo successivo il medico greco Galeno la fa entrare ufficialmente nella medicina e nella farmacopea.

Nel XIV sec. il carciofo viene importato a Firenze da Filippo Strozzi Nello stesso periodo si diffonde anche in Inghilterra e poi, gradualmente, verso il nord Europa grazie alle tecniche di coltivazione e di moltiplicazione vegetativa elaborate  nel XVI secolo. Nel XVIII e XIX secolo conquista gli Stati Uniti e l’America del Sud grazie agli emigranti francesi e spagnoli.
I documenti storici  smentiscono, si narra però, che a farlo conoscere in Francia fu Caterina De’ Medici. La sovrana, golosa di carciofi, forse ne apprezzava anche le proprietà digestive, perchè mangiava così tanto che “si credeva di vederla scoppiare”, annota un cronista del tempo.

Il carciofo nell'arte
Definito nel 1500 “principe delle verdure d’inverno” e “diavoleria mangereccia”, appare sempre più spesso non solo nei manuali di cucina. Raffaello lo rappresenta negli affreschi di Villa Farnesina, Francesco del Tadda scolpisce  la Fontana del Carciofo nel Giardino di Boboli, Giuseppe Arcimboldo dipinge Vertumnus.   
 
La scultura Carciofi di Patrick Laroche viene esposta all’EXPO.

Il carciofo nella letteratura
Grazia Deledda lo descrive  ne Il tesoro degli zingari e Pablo Neruda gli dedica una poesia:
“Il carciofo dal tenero cuore si vestì
  da guerriero, …”

Il carciofo nei documenti
Compare anche in un documento del  24 aprile 1604, conservato nell’Archivio di Stato di Roma, una denuncia, perchè il carciofo era stato causa di una lite. Il denunciato, certo, non era proprio un tranquillo signore che reagiva solo se ripetutamente pungolato. Fatto sta che Pietro da Fusaccia, garzone all’Osteria del Moro, denuncia Michelangelo Merisi, sì proprio Caravaggio, perché” havendoli portato carciofi sì cotti, cioè quattro nel burro et quattro col’olio…mi ha domandato, quali erano quelli che erano cotti col burro, et quelli col’olio, e jo li risposto, che li odorasse che benissimo havrebbe conosciuto…, colui allora è montato in collera et… ha preso un piatto… e me l’ha tirato… mi ha colto in questa guancia manca…et ha dato mano alla spada di un suo compagno“ inseguendolo  per tutta l’osteria.

Le varietà del carciofo
In Italia ci sono molte varietà di carciofo; coltivato in pieno campo, è presente sul mercato da ottobre a maggio. 

I precoci sono il Brindisino, il Violetto di provenza, il Violetto di Sicilia, il Violetto, lo spinoso di Palermo  e lo Spinoso Sardo; i tardivi il Bianco di Pertosa , Presidio Slow Food, il Carciofo di Paestum IGP e il Romanesco del Lazio IGP.
Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP, prodotto nel periodo febbraio-aprile , “ha capolini di grandi dimensioni e di forma sferica, compatta, con caratteristico foro all’apice, brattee esterne di colore verde con sfumature violette ad apice arrotondato”.
Il carciofo fornisce un basso apporto calorico, è ricco di potassio, calcio, fosforo, ferro e di fibra alimentare, mentre ha scarso contenuto in vitamine.  Contiene componenti “non nutrienti” con  azioni protettive per la salute e l’attività antiossidante è elevata anche dopo la cottura.

La coltivazione del carciofo nel Lazio sembra risalga agli Etruschi come confermano le raffigurazioni di foglie di carciofo in alcune tombe della necropoli di Tarquinia.

La cucina ebraico romanesca
La comunità ebraica di Roma è la più antica d’Europa, la sua presenza risale al II secolo a.C.
Il 12 luglio 1555 Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum, ordinò l’istituzione del ghetto, in cui gli ebrei furono costretti a risiedere. 

Nel ghetto, gli ebrei romani vennero a contatto con gli esuli ebrei spagnoli espulsi da Isabella di Castiglia, quelli siciliani espulsi dagli Aragonesi, vissuti a contatto con le civiltà islamiche. Da questo incontro tra il gusto alimentare condizionato dall’ambiente di origine,  la cucina ebraica di una  comunità di antico stanziamento che non poteva rimanere insensibile alla cultura romana, nasce la cucina ebraico romanesca. Una cucina che  cercava di nobilitare gli alimenti a buon mercato reperibili e che doveva rispettare i ferrei limiti che il  governo pontificio aveva posto anche nella dieta alimentare degli ebrei , oltre all’insieme di norme, prescrizioni e divieti, la kasherut, che regola la cucina ebraica. Kasher significa adatto e indica quei cibi che si possono consumare perché conformi alle regole. Questo insieme di norme non ha penalizzato la cucina ebraica ricca di estro e fantasia, ha però guidato alcune scelte. Ad esempio, il divieto di cuocere carne insieme ai latticini, quindi anche al burro e alla panna ha portato ad utilizzare l’olio e il grasso  di oca o di gallina  per cucinare. Nella cucina ebraica romana si usa  quasi esclusivamente l’olio di oliva, sia per il condimento che per la cottura. I fritti in olio sono un vanto di questa cucina e i carciofi alla giudia uno dei piatti più apprezzati e conosciuti.
Crescenzo Del Monte, massimo esponente della poesia giudaico romanesca, con il linguaggio parlato nel ghetto alla fine dell’ Ottocento, ricorda  il carciofo alla giudia  nel sonetto

‘O ‘nvitato a pranzo
Magna, magna, Moscè, ‘un fa’ complimenti!
...
…Magna co ‘i mani, stamo fra parenti!…
…Vardeme sta carciofela, chi belli
fogli ‘nnorati assaja.
…ù
La Ricetta dei carciofi alla giudia
Per i carciofi alla giudia servono  i cimaroli romaneschi. Il carciofo fresco deve avere capolino sodo al tatto, senza macchie e con brattee, “foglie”, serrate; gambo duro, preferibilmente grande perché segno di vigore della pianta e quindi di tenerezza, senza parti gialle e con foglie  verdi.
Per la conservazione si può mettere in un vaso con l’acqua, come si fa con i fiori freschi, oppure in frigorifero.
La “capatura” è fondamentale. Si tolgono le foglie verdi e  dure fino alle prime foglie giallo-rosate alla base, poi “Pulite i carciofi facendoli ruotare lentamente con la mano sinistra, mentre sta ferma la mano destra che fa penetrare la lama di un piccolo coltello ben affilato nella polpa del carciofo. Così il taglio si effettua a spirale e di foglia in foglia viene ad essere eliminata la parte dura e conservata la parte tenera. 

Metteteli per qualche minuto  a bagno in acqua acidulata con parecchio limone. Scolateli, asciugateli e batteteli uno contro l’altro per allargare le foglie.”*, spiega  G. Ascoli Vitali-Norsa. Si  immergono in abbondante olio di oliva ben caldo, quando saranno quasi cotti, si tolgono, si allargano le foglie con l’aiuto di una forchetta fino ad aprirle completamente e si rimettono nell’olio bollente. Quando son ben dorati si estraggono infilzandoli con una forchetta, si spruzzano con acqua o vino bianco gelato e si cuociono per un minuto ancora. Sono pronti, dorati e croccanti, da servire caldi.


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