La storia del pane è antica quasi quanto
la storia dell’uomo. Di questo alimento, da millenni al centro della cultura
gastronomica mediterranea ed europea, si fa menzione già nella produzione
letteraria sumerica, nell’Epopea di Gilgamesh, testo epico
composto fra il 2600 e il 2500 a.C., la più antica di cui
si conservi notizia, il nucleo originario precede di oltre 1500 anni i poemi
omerici e l’Antico Testamento.
Al di là delle sue implicazioni
simboliche, la presenza del pane nell’Epopea di Gilgamesh dimostra
come questo alimento fosse conosciuto e diffuso nell’antica civiltà
mesopotamica, così come lo fu nell’Antico Egitto da cui si diffuse in tutto
l’ambito del Mediterraneo diventando un elemento comune a tutte le popolazioni.
I Romani conobbero il pane dopo il 168 a.C.,
anno in cui impararono le tecniche della panificazione da
alcuni schiavi macedoni. Plinio ci racconta che prima i latini erano soliti
consumare focacce non lievitate e polta, una densa zuppa preparata con grani di
cereali schiacciati e bolliti nell’acqua. Numerose sono le testimonianze
archeologiche e artistiche che raccontano la presenza del pane nella società
della Roma antica: dall’affresco della Casa del fornaio e dalle forme di pane fossilizzate
di Pompei al sepolcro di Marco Virgilio Eurisace a Porta Maggiore a Roma, fino
ai rilievi e ai mosaici che illustranio il lavoro quotidiano del fornaio.
In molti
casi le forme di pane raffigurate corrispondono alla tipologia del pane
“quadratus”: una pagnotta divisa in otto spicchi da quattro tagli. Questo
stesso tipo di pane compare anche in contesti paleocristiani dove i tagli sono
due o tre, per ottenere pagnotte segnate con l’immagine della croce o il
simbolo semplificato od occultato del monogramma di Cristo. Il nome quadratus
deriva dall’incisione a croce che favoriva la divisione in quattro parti, quadrae.
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Il panificio Casa del fornaio a Pompei I secolo d.C. |
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Rilievo dal sepolcro del fornaio Marco Virgilio Eurisace 30 a.C. circa |
Come dicevo, il pane è uno degli alimenti più documentati dalle fonti storiche
sia attraverso gli affreschi che i bassorilievi ed è attraverso queste
raffigurazioni che ne conosciamo le fasi di preparazione e la vendita. A Roma,
presso Porta Maggiore sorge il sepolcro del liberto Marco Virgilio Eurisace,
un fornaio che aveva fatto fortuna grazie al collegium pistorum, la
corporazione dei panettieri, stipulò contratti per la fornitura del pane alle
autorità. Sul sepolcro sono presenti bassorilievi rappresentatnti le fasi della
panificazione partendo dalla macinatura dei chicchi , assicurata dalle grandi
lastre di pietra mosse dal lavoro di un asino, per proseguire con la
setacciatura della farina, con l’impasto fino alla formatura e cottura al forno
del pane.
Molti erano i tipi di pane prodotti a seconda degli usi, degli impasti e
dei metodi di cottura. Il Panis siligineus era fatto con farina di
qualità superiore; in funzione del grado di setacciatura della farina si
producevano il pane cibarius, secundarius, plebeius, rusticus; tra i
pani che dovevano conservarsi a lungo, una specie di gallette, c’erano il panis
militaris castrensis per i soldati ,e il panis nauticus per i marinai. E
poi quelli in uso nelle zone rurali che includevano leguminose, ghiande,
castagne o i più elaborati a base di spezie, latte, uova, miele, olio. In base
ai metodi di cottura si aveva il panis furnaceus, cotto al forno,o il
subcinerinus, cotto sotto la cenere o il clibanicus, una focaccia
cotta sulla parete esterna di un vaso arroventato.
Il farro
era il cereale più apprezzato e fu il primo ad essere usato: i chicchi venivano
leggermente abbrustoliti per per eliminare la pula e poi macinati per ottenere
la farrina, termine che poi fu esteso ad indicare ogni tipo di cereale
macinato, “la farina”.
Ne è
risultato un pane con una leggera nota dolce dovuta al miele, per questo è
adatto per la prima colazione e si abbina molto bene ai formaggi. In
particolare usando il miele di acacia è ottimo con i formaggi erborinati o i
pecorini, con il miele di castagno è perfetto con caciotte di media
stagionatura.
Ingredienti
250 g di
farina di farro
250 g di
farina integrale
250 g di
lievito madre
50 g di
miele
5 g di sale
275 g di
acqua
Procedimento
Mettere
nella planetaria le farine, il miele, il lievito madre e 200 g di acqua,
avviare la macchina ed impastare. Aggiungere poco per volta l’acqua rimanente
controllando la consistenza dell’impasto e infine il sale e continuare a
lavorare fino ad ottenere un impasto liscio e ben incordato.
Formare una
palla e trasferire l’impasto in una ciotola ben unta, coprire con la pellicola
e far lievitare fino al raddoppio. Riprendere l’impasto e rovesciarlo sulla
spianatoia spolverata di farina, arrotolare delicatamente fino a formare una
pagnottina, appiattirla con un matterello, spolverare di farina, incidere e,
dopo averla coperta, mettere a lievitare fino al raddoppio su una teglia ricoperta
di carta forno.
Cuocere in
forno statico a 250°C mettendo un pentolino con acqua sul fondo del forno. Dopo
circa 15 minuti portare la temperatura a 210°C e continuare la cottura per
altri 25-30 minuti circa, fino a quando è ben dorato. Spegnere il forno e
lasciare freddare con lo sportello in fessura inserendo una cucchiaia di legno.
Le dosi
utilizzate per questo pane sono tratte da: p&p, panificazione e pasticceria
Una ricetta "ricostruita" a partire da quelle utilizzate nell'antica
Roma.
Bibliografia
Lorenzo Bonoldi Artedossier
Letizia Staccioli Archeoclub d'Italia