Il 13 novembre, Andrea Petrini, responsabile eventi per Slow Food, ha organizzato presso lo Spazio Fare del Mercato Centrale di Roma un incontro con l’Associazione G.R.A.S.P.O., intitolato "Vitigni del passato per i vini del futuro: le degustazioni impossibili di G.R.A.S.P.O.". Durante l’evento, è stato presentato il libro dell’associazione che racconta il lavoro di oltre 150 aziende impegnate nella conservazione di più di 200 vitigni rari, offrendo una visione di come queste varietà possano rappresentare un’opportunità per il futuro della viticoltura italiana. L’evento è stato impreziosito da interventi di Aldo Lorenzoni e Luigino Bertolazzi, fondatori di G.R.A.S.P.O., Edoardo Ventimiglia di Sassotondo e Andrea Petrini di Slow Food Roma.
G.R.A.S.P.O.: UN PROGETTO PER LA TUTELA DEL PATRIMONIO
VITIVINICOLO
L’associazione G.R.A.S.P.O. si dedica alla salvaguardia e valorizzazione dei vitigni antichi e minori, promuovendo la loro identità storica e culturale. La sua attività comprende ricerca scientifica, collaborazioni con enti pubblici e privati, e progetti di recupero volti a preservare la biodiversità, sostenendo nel contempo lo sviluppo rurale e l’innovazione enologica. Oltre a sensibilizzare sulle potenzialità di questi vitigni, l’associazione sottolinea l’importanza di un equilibrio tra tradizione e sostenibilità, restituendo dignità a un patrimonio vinicolo unico.
UN VIAGGIO TRA I VITIGNI STORICI E I VINI SPERIMENTALI
Tra i protagonisti della serata sono stati presentati alcuni vitigni antichi, ognuno con una storia affascinante e un legame profondo con il territorio.
Una delle peculiarità dell’incontro è stata la degustazione di 11 vini, di cui solo il Nocchianello Nero è attualmente in commercio, mentre gli altri sono frutto di microvinificazioni sperimentali realizzate in acciaio per esaltare la purezza delle uve, senza interventi enologici complessi. Questi vini rappresentano l’essenza autentica di ciascun vitigno, offrendo un’anteprima delle potenzialità di varietà ancora poco conosciute.
Per la degustazione, sono stati riuniti in gruppi contraddistinti da nomi divertenti ma non banali:
"LA PRIMA VOLTA CHE…VAI IN BIANCO"
La Vernazola della piantata storica di urbana
La Vernazola è un vitigno dalla storia radicata nel territorio padovano. La sua prima menzione risale al 1925, quando l’ampelografo Norberto Marzotto la descrisse come coltivata nei comuni di Casale di Scodosia e Merlara, anche se in quantità limitate. Il professor De Marzi ne evidenziava i tratti distintivi: foglie rotondeggianti di colore verde chiaro, grappoli compatti e piccoli, acini con buccia sottile e una maturazione precoce intorno a metà settembre. Le sue terre d’elezione si estendono tra Urbana, Casale di Scodosia, Masi e Merlara, ma la Vernazola si è diffusa anche in altre zone del Veneto e del Trentino, spesso sotto nomi diversi, come Bianchetta Trevigiana, Vernazzina o Vernaccia Trentina. Ad Urbana, dove è conosciuta come "Vernazola" con una sola "z", si trova una piantata ultracentenaria, custodita dal fotografo e viticoltore Gianmarco Guarise. Le marze di questa piantata sono state utilizzate per nuovi impianti promossi dalla cooperativa biologica La Rabiosa, che si dedica al recupero di questa varietà, valorizzando il legame con il territorio.
Vitigno raro e quasi estinto, la Leonicena si distingue per la straordinaria resistenza al gelo e alla flavescenza dorata. Coltivata principalmente nella zona dell’Arcole DOC, ha dimostrato una capacità unica di sopravvivere a inverni rigidi, come quello del 1985, quando temperature di -25°C distrussero molte altre varietà.
Originaria di Lonigo, la Leonicena si caratterizza per grappoli piccoli, acini ovali e una buona produttività. La sua prima vinificazione ufficiale avvenne nel 1990, con risultati promettenti. Il vino, dal colore giallo paglierino, si presenta fresco e sapido, con note floreali e leggere sfumature di tabacco. Nonostante le iniziali ipotesi di un’origine ibrida, analisi genetiche condotte nel 1996 confermarono la sua appartenenza alla specie Vitis vinifera.
La Brepona, un carattere vulcanico
Il Brepona è un vitigno a bacca bianca che ha trovato il suo custode in Antonio Tebaldi a Soave. Citato già nella bibliografia storica con nomi come Breppon Molinara, questa varietà si distingue per grappoli spargoli e acini pruinosi. Nonostante le sue qualità, è stato a lungo oscurato da varietà più produttive come la Garganega. Adatto anche all’appassimento, il Brepona richiede allevamenti espansi e mostra una buona costanza produttiva. Nel dopoguerra, fu apprezzato per le sue peculiarità aromatiche, ma la sua coltivazione è oggi limitata.
"BUON SANGUE NON MENTE"
L’Uva Gatta…la nonna
Vitigno antico, la Gatta è documentata fin dal 1868. Originaria del Padovano e del Trevigiano, è stata associata alla Marzemina per somiglianze genetiche. Ne esistono due varietà: una con picciolo rosso, considerata la migliore, e una con picciolo verde. Dalla Gatta si ottiene un vino rosso brillante, povero di acidità, utilizzato tradizionalmente per il taglio con varietà più acide. Oggi è una rarità, ma esemplari sono stati riscoperti a Grancona.
Nota anche come Negrara Cenerente, la Gambugliana è un
vitigno storico del Vicentino, famoso per la pruina farinosa che ricopre gli
acini. Coltivata un tempo in diverse zone del Veneto, è stata progressivamente
abbandonata a causa della sensibilità alla peronospora. Tuttavia, recenti studi
ne hanno favorito il recupero, mettendo in luce la sua rilevanza storica e
culturale.
La Cenerente…la figlia
Spesso confusa con altre varietà come la Gambugliana, la Cenerente è diffusa nel Veronese e nel Vicentino. Caratterizzata da acini intensamente pruinosi, è conosciuta con diversi sinonimi, tra cui Farinente e Molinara Farinente. Nel 1950 (Montanari e Ceccarelli) riferiscono che la Cenerente è coltivata, sia pure limitatamente, a Verona nella zona di Roncà e Monteforte e nella pianura a sud della provincia di Vicenza.Questa varietà entra come vitigno fondamentale, nella composizione dei vini Arcugnano, Barbarano rosso e Orgiano rosso.
"INCROCI PERICOLOSI"
La Quaiara..che viene dal Sud
La Quaiara è un vitigno autoctono a bacca nera della provincia di Verona; l’etimologia popolare lo associa alle quaglie, ma probabilmente deriva dalla località di Bussolengo (VR). È spesso considerata sinonimo di Pelara o Dindarella, ma non vi sono certezze assolute. Citata da F. De Leonardis come presente in Valpolicella e Bardolino, nel 1950 Montanari e Ceccarelli ne segnalano la coltivazione nelle Valli di Squaranto e Mezzane, ma sconsigliano il suo utilizzo. Negli anni '70 ci sono tentativi di recupero da parte dell’Ispettorato Agrario di Verona e dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano. Un campo catalogo venne impiantato presso l’Azienda Segattini a Pastrengo e un altro a San Floriano di Valpolicella.
Non ci sono molte informazioni sulle sue peculiarità
ampelografiche o organolettiche, ma il legame con Pelara e Dindarella potrebbe
suggerire un profilo simile, con buona acidità e caratteristiche adatte alla
produzione di vini freschi e beverini.
Il Liseiret..che viene dal Nord
Il Liseiret (conosciuto anche come Gouais Blanc o Weisser
Heunisch) è una delle varietà fondatrici della viticoltura moderna, genitore di
oltre 100 vitigni prestigiosi, tra cui Chardonnay, Gamay, Riesling e Furmint.
Questo vitigno si distingue per l'eccezionale capacità di mantenere elevati
livelli di acidità, rendendolo ideale per la produzione di vini spumanti e per
la coltivazione a basse altitudini. I vini che ne derivano colpiscono per
freschezza, sapidità e una piacevolezza immediata.
La Piccola Nera è un vitigno che racchiude in sé una storia
affascinante e un'importanza ampelografica straordinaria, non solo per l’Italia
ma per tutta l’Europa. A evidenziarne il valore è Anna Schneider, esperta del
CNR, che ha ricostruito le origini di questa varietà, nata dall'incrocio di due
vitigni fondamentali: l’antico Heunisch Weiss (Gouais Blanc), un pilastro nella
genealogia di oltre 140 varietà, tra cui lo Chardonnay, e la misteriosa Rossa
Vulpea, una varietà di origine austro-balcanica.
La Vulpea, a lungo nascosta dietro nomi locali come Doretta,
Quaiara, Rosetta e Schiavetta, si è rivelata un genitore strategico di molti
vitigni ancora oggi coltivati. Tra questi spiccano la Glera, il vitigno alla
base del Prosecco, la Boschera, usata nei passiti, e la Molinara, presente nei
blend del Bardolino e del Valpolicella. Il suo contributo si estende anche
oltre i confini italiani, con varietà come il Baka Torkek e il Pecsi Dinka,
diffuse in Ungheria.
La Piccola Nera porta con sé anche un'eredità balcanica evidente, testimoniata dai suoi numerosi sinonimi registrati nel catalogo europeo VIVC. Nomi come Blaue Zdnuczaytraube, Gnjet e Naimenska Slaska raccontano un percorso che attraversa confini e culture, unendo la tradizione mitteleuropea a quella italiana. Oggi, la Piccola Nera è coltivata in purezza in un’unica azienda italiana, situata a Muggia, in provincia di Trieste, a ridosso del confine con la Slovenia. L’Azienda Nicolini Giorgio, gestita da Giorgio Nicolini e dal figlio Eugenio, si dedica con passione alla valorizzazione delle varietà autoctone del territorio. Tra queste, accanto alla Vitovska, alla Malvasia istriana e al Refosco, la Piccola Nera occupa un posto speciale. Recuperata da antichi vigneti di famiglia, viene oggi vinificata come parte dell’I.G.T. delle Tre Venezie, riservata esclusivamente alla provincia di Trieste. Grazie a queste iniziative, la Piccola Nera non è solo un vitigno, ma un simbolo della ricchezza culturale e vitivinicola di un territorio che da sempre è crocevia di storie, tradizioni e sapori.
Il Nocchianello Nero, simbolo di resilienza
Il Nocchianello Nero è un antico vitigno autoctono unico nel suo
genere, originario della zona di Pitigliano e Sorano in Toscana. Riscoperto e
valorizzato grazie a un progetto avviato nel 1979, oggi rappresenta un simbolo
di biodiversità e tradizione enologica locale. L'azienda Sassotondo, che ha
avuto un ruolo cruciale nella sua rinascita, ne ha ripreso la coltivazione nel
2010, utilizzando materiale genetico conservato dal CREA di Arezzo.
L’azienda Sassotondo coltiva i suoi vigneti su suoli tufacei,
caratteristici della zona vulcanica del bacino di Bolsena. I 12 ettari vitati
si distribuiscono tra Sorano e Pitigliano, in un paesaggio collinare unico,
segnato da profonde forre tufacee. La cantina stessa è scavata nel tufo,
simbolo della forte connessione tra il vino e il territorio. La vite di Nocchianello
nero è vigorosa e produce grappoli
pruinosi e croccanti, maturando tardivamente rispetto al Sangiovese. Dopo anni
di piccole vinificazioni sperimentali (dal 2011 al 2019), il Nocchianello Nero
ha iniziato a essere commercializzato. Il vino che ne deriva è un rosso rubino
dai profumi speziati, con note di pepe bianco e cassis. Al palato, presenta
buona acidità, tannini delicati e una piacevole persistenza aromatica. Un
esempio di come la tradizione possa coniugarsi con l’innovazione.
Il Nocchianello Nero, con la sua autenticità e capacità di adattarsi alle nuove sfide climatiche, è un esempio di come la valorizzazione dei vitigni autoctoni possa offrire nuove prospettive all’enologia.
IL FUTURO DELLA VITICOLTURA ITALIANA
La serata ha dimostrato come i vitigni del passato possano
ispirare un futuro innovativo e sostenibile per il settore vitivinicolo. Grazie
all’impegno di G.R.A.S.P.O. e dei produttori coinvolti, queste varietà stanno
trovando una nuova vita, rafforzando il legame tra il vino e la storia, il
territorio e la cultura. Un percorso che combina tradizione e ricerca, in cui
ogni calice racconta una storia unica e irripetibile.
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